È già tutto molto più caotico attorno a noi. Siamo all’aeroporto di Marrakech. Il viaggio è stato veloce e subito pregustiamo di sederci in taxi e aspettare pazientemente le cinque ore per arrivare a Zaouia Ahnsal. Invece no; arrivati all’area controllo documenti ci attende un’interminabile fila che ritarderà l’attesa del taxi di almeno un’ora e mezza.
Recuperato il bagaglio usciamo dall’aeroporto e una scompigliata folla, composta dai più svariati elementi, ci attende all’uscita. Vediamo un uomo relativamente basso, relativamente in carne con in mano un cartello con su scritto Taghia. È lui il nostro uomo; ci avviciniamo, subito ci accompagna alla macchina, carichiamo i bagagli e in una lingua ibrida partono le presentazioni.
Dopo poco che siamo in viaggio ci chiede qualcosa, riguardo ad un supermercato o qualcosa di simile. Annuiamo e della nostra risposta sembra felice, ma ovviamente non abbiamo capito nulla in realtà. Nessuno ha capito ma l’unica cosa certa di cui tutti e tre siamo sicuri è che anche gli altri non abbiano capito. Arriviamo però a un supermarket. Lì capiamo che forse dobbiamo fare la spesa, ma non sappiamo cosa prendere; ci improvvisiamo: banane, cioccolata, biscotti e che altro.. ah si, la birra. Pensiamo che una cassa sia sufficiente (visto anche il costo) e carichi della nostra dolce mercanzia, poiché è impossibile trovare del cibo salato, ci rimettiamo in marcia.
Arrivati a Zaouia Ahnsal entriamo al Gîte Farid dove ci accoglie un santone in tunica che appena ci vede, verso le 23.00, ci fa preparare una seconda cena.
Una cosa è già chiara riguardo al Marocco: ospitalità e cibo sono un dovere.
Finita la cena parliamo con i nostri ospiti e accompagnamo il tutto con qualche birra. A fine settimana malediremo la nostra generosità nell’offrire le nostre introvabili birre.
La mattina ci svegliamo motivati dalla curiosità per la nostra prossima giornata. Dopo la prima abbondante colazione, che scopriremo essere di routine, carichiamo il mulo con i bagagli e partiamo verso le nove, in direzione Taghia. Dapprima su una strada, poi su un sentiero incotriamo carovane di locali che con i loro muli scendono a valle per il giorno di mercato. Il panorama continua ad arrichirsi, attraversiamo canyon e strette valli fino ad arrivare al villaggio dove la vista ci lascia di stucco. Frastagliate pareti verticali di un rosso calcare compatto spiccano davanti ai nostri occhi. Arriviamo al nostro alloggio dove il fratello del proprietario ci mostra la stanza e ci offre un thè. Non resistiamo e dopo poco decidiamo di andare a fare Belle et berbère una via costante di 300 mt su ottimo calcare rosso situata nella Paroi des Sources a 15 minuti dal gitè. La sera conosciamo Ahmed e gli altri ospiti. Condividiamo la cena di zuppa e tajine, e andiamo a dormire pronti per la giornata successiva.
Dopo la rigorosa colazione assieme ai francesi, partiamo per fare Los Ratones Colorados via di 400 mt aperta nel 2006 e situata sulla parete N del monte Oujdad. Una via verticale su roccia compatta che dopo una sequenza di placche iniziali segue lo spigolo della parete. Al ritorno, fatte le doppie, ci perdiamo lungo il sentiero; questo ci da modo di seguire una traccia che porta ad una cascata e di intraprendere la strada verso casa per cengie esposte. Verso sera arriviamo al gitè dove ci aspetta il riso con la frittata di pomodori e olive. Dopo cena, consultate la guida e qualche birra, decidiamo di andare a fare Baraka. Ne parliamo con Ahmed che entusiasta ci supporta ma ci consiglia di svegliarci prima di quel che avevamo stimato senza preoccuparci per l’organizzazione della colazione.
Il quarto giorno vede così la sveglia alle 5.15 e un’abbondante colazione alle 5.30. Preparati gli zaini partiamo verso le sei. È ancora buio ma grazie alla giornata precedente conosciamo già la prima parte dell’avvicinamento e anche la sua variante. Arrivati ad un plateau aspettiamo l’albeggiare e proseguiamo decisi attraversando il “berebere bridge”. Sono circa le sette e trenta quando ci ritroviamo all’attacco della via.
Fa freschetto e il primo tiro parte subito deciso. L’amico francese Geremie ci diceva che si trattava di un tiro per niente banale. Parto risoluto, fomentato dall’orgoglio di dimostrare l’imperturbabilità feltrina. Ahimè, arrivato appena prima della fine, le parole di Geremie si rivelano veritiere. Gli ultimi tre metri sono davvero lisci su una placca compatta molto aerea. Fortunatamente sono spitatti bene e senza perdere troppo tempo (visto che è il primo tiro di diciasette) arrivo in sosta. Da qui la via prosegue ben verticale fino a metà; Albi si cucca il tiro duro su placca strapiombante, e in breve siamo alla cengia mediana, è mezzogiorno circa.
Ci aspettano altri otto tiri che ci conducono a fine via. Arriviamo in cima, facciamo le due foto di rito, beviamo parsimoniosamente e dopo una breve discussione riguardo i punti cardinali, ci dirigiamo con attenzione verso la discesa. Sappiamo che è facile perdere le tracce di passaggio perciò seguiamo diligentemente gli ometti sparsi e radi e i ponti improvvisati. Arriviamo alla doppia e da qui scendiamo lungo il mirabile canyon tra l’Oujdad e il Taoujdad. Arrivati alla base del canyon, facciamo una lunga sosta presso la fonte del villaggio. Ci abbeveriamo voracemente e arriviamo al gitè dove ci aspetta la merenda di thè, noci e miele.
La mattina seguente il meteo è buono e durante la colazione decidiamo di non perdere tempo in un giorno di riposo. Decidiamo così di ritemprarci nella stupenda falesia di Al-Madrassa situata nella parte opposta della valle rispetto alla casa di Ahmed.
Nelle soste accessibili dall’alto c’è però la sorpresa: mancano le piastrine delle spit e le voci dicono che i “berberi” ne vadano ghiotti. Secondo noi più che i berberi sono gli alpinisti bramosi di concludere vie e che recuperano il materiale di cui hanno bisogno; ammetto però che il furto berbero abbia il suo fascino. Cosa se ne facciano delle piastrine degli spit rimane un mistero impenetrabile.
Il meteo sembra peggiorare e vista la più che probabile possibilità di pioggia, decidiamo di provare a fare una via breve. Optiamo così per Zebda, situata nella stessa parete di Belle et berbère che abbiamo fatto il primo giorno di permanenza a Taghia. Via breve ma certo non priva di difficoltà; nel primo tiro Albi se la gioca volando negli ultimi metri prima della catena. Alla seconda lunghezza inizia a piovere ma, dopo una pausa aerea di una decina di minuti, le nuvole si diradano permettendoci di completare la via.
Anche gli altri tiri si rivelano sempre costanti su ottima roccia verticale, abrasiva, e favolosamente rossa. A metà pomeriggio siamo in cima e scendiamo per il comodo sentiero che ci porta direttamente al gitè.
La sera ci rilassiamo giocando a Jenga e contenti delle nostre giornate andiamo a dormire, dopo aver scambiato le solite chiacchiere con l’amico ospite Jean Jean.
La mattina ci svegliamo con calma, piove, fa freddo, è brutto tempo. Subito pensiamo di aver fatto bene ad aver scalato cinque giorni consecutivi nonostante la nostra pelle implorasse pietà.
Con un po’ di malinconia chiediamo ad Ahmed di chiamare il tassista Alì per partire il giorno seguente.
Dopo la colazione dobbiamo trovare un modo con il quale far passare la giornata al chiuso. Facciamo una partita a Jenga ma non risulta essere così divertente. Di necessità virtù, ci viene un’illuminazione: usare i parallelepipedi del Jenga per giocare a domino, o meglio, domino di precisione. Cominciamo a studiare forme di circuiti, sopraelevate, ponti. Utilizziamo ogni oggetto a disposizione per incrementare il nostro tracciato.
Trovo della cioccolata nello zaino e la offro ad Albi per pranzo. Ne prende un pezzo, lo addenta e geme. Guardo meglio perché abbia una faccia così dolorante e sputa un dente. Non riesco a trattenermi e scoppio a ridere, Albi mi guarda perplesso ma non riesco a fermarmi, non riesco a smettere.
La mattinata prosegue veloce grazie al domino, alle risate, ai denti persi.
Il pomeriggio cominciano i preparativi per la cena. Su consiglio di un amico abbiamo chiesto ad Ahmed se potesse cucinarci il capretto. È presente tutta la sua famiglia per l’evento. Quando il capretto, comprato da una casa vicina, arriva capisce subito che non si mette bene per lui. In meno di due ore è condito con olio e spezie, pronto per essere cucinato in un forno costruito con terra e sassi la mattina stessa. Qualcosa tuttavia non va per il verso giusto e passate le due ore necessarie, la bestia è ancora più viva che cotta. Così ripartono i preparativi, aspettiamo altre due orette e degustiamo la pietanza a serata inoltrata.
Il villaggio di Taghia è alle nostre spalle, abbiamo fatto i saluti e i ringraziamenti di rito e stiamo ripercorrendo la valle a ritroso. Con noi c’è anche il Jef che sornione decide di seguirci e di dividere le spese del taxi. Le cinque ore passano veloci tra le gli scambi di battute, i paesaggi solitari, le strade caotiche e l’insolito panorama innevato. All’arrivo a Marrakech, Alì ci procura un’economica stanza e la sera usciamo alla caccia di qualche birra.
Gli ultimi giorni in città passano frenetici, dopo aver visitato la piazza, i monumenti, i souk, i dintorni e gli internet point è ora del rientro. Prendiamo un taxi che ci porta all’aeroporto. Quanta confusione, un altro mondo rispetto a Taghia.
La gente preoccupata corre di qua e di là con grande foga, teme di non riuscire a prendere il volo a causa del cambio orario. Nessuno sa realmente che ore siano poiché non è chiaro se il re abbia deciso di mantenere l’ora legale. Poco male, la coda è interminabile e comunque ci tocca aspettare; ecco, destinazione Treviso ha la precedenza, l’aereo è già in ritardo e ci chiamano per farci passare preferenzialmente. Siamo in aereo, stiamo tornando.